#STORIE - Il colore del vetro

Quando ho scoperto la bellezza della luce catturata da vetri colorati.

Olafur Eliasson, "A view of things to come", 2019.

Bene, qualche tempo fa mi è capitata tra le mani, come capita alla maggior parte delle persone che conosco, una cosa che in gergo chiamano tesi di laurea

Bisogna fare una premessa: tutto quello che so e che ho imparato è stato frutto di un tour de force durato appena otto mesi e che mi ha catapultato nel mondo del vetro. Da brava restauratrice, quale mi hanno formato, ho passato settimane intere, lunghe notti e innumerevoli albe a scrutare tra i sottilissimi strati degli oggetti che mi erano inaspettatamente capitati tra le mani. 

Io non so quanti di voi si siano mai fermati ad osservare la luce che penetra dalle finestre, come riporti  fedelmente quello che è in superficie in uno stato di intangibile presenza. Forse ho letto troppo Proust e la recherche mi ha un po' condizionato, ma la prima volta che ho preso tra le mani un oggetto antico in vetro è stata come per la storia delle madeleine. 

Insomma, amore a prima vista, folgorazione, illuminazione divina e intermittenza del cuore. Tutto insieme, tutto con la stessa forza. 

Come gli ultimi romantici affermano da tempo, la bellezza risiede nella delicatezza e nella capacità di perdurare attraverso le ere. Ed è proprio qui il nocciolo della questione, del mio innamoramento: come possa un materiale tanto delicato ed esteticamente etereo resistere mille e mille anni ancora e subire le peggiori ingiustizie conservative dell'universo tutto, per poi essere ancora lì a mostre a te, piccolo sconsiderato, la grazia e l'arte di chi lo ha creato.

Vetri romani.

Prendete per esempio i musei archeologici di mezzo mondo. Quanta storia e quanto vetro!

Il primo vetro "storico" che io avessi mai toccato fu un frammento che avrà avuto almeno duemila anni, ad occhio e croce. Proveniva da Pompei, ed è inutile stare qui a dire che quasi ci ho pianto. Era un frammento di una ciotola blu, di un blu intenso e tanto pieno da essere quasi opaco. Una ciotola bassa, dai bordi sottili, una di quelle che si soffiavano in grandissime quantità in tutto il Mediterraneo. Ma era bella in modo disdicevole, nonostante le sue iridescenze, le mancanze e i graffi e la polvere. 

Poi venne il giorno di un piccolo vasetto ansato, opaco, decorato con piccoli fiorellini tutti in pasta vitrea e poi soffiati - per intenderci assomigliava alle murrine dei nostri giorni. E poi passammo per coppe, anfore, unguentari, gioielli, perline e mosaici.

Vetro, pasta vitrea, vetro soffiato o stampato. Fatto in pizze e tagliato. Colorato, opaco, trasparente. Sottile, spesso, ghiacciato. 

Per anni mi sono passati davanti agli occhi meravigliosi oggetti in vetro, ancora sporchi della terra in cui avevano riposato dimenticati per centinaia di anni. Un tripudio di forme e colori, di sabbie sapientemente miscelate e addizionate con metalli, terre, ossidi. 

Sapevo molto e allo stesso tempo molto poco del vetro, materiale amorfo, Il Matto del mondo. 

Ma ancora non avevo visto molto, infatti successe tutto dopo poco, all'improvviso.
Proprio come nelle grandi storie! (semi-cit.)


Così all'alba del mio quinto anno: arrivarono loro, i veneziani.

Il vetro cristallo e l'arte dei vetrai di Murano.

Quando ti rendi conto davvero della magnificenza di quei lavori, provi una sensazione simile a quella che ti ha suscitato varcare per la prima volta, ma anche la seconda o la terza, le soglie di Sainte-Chapelle (se ancora non ci sei stato, ti prego, vacci!).

Resti sbigottito. Una sindrome di Stendhal ma tutta amorfa e in trasparenza. Tutta colorata.

La verità è che la chiamano Arte Minore con le maiuscole solo perché, oltre che bella, è stata anche utile, nel significato di cosa che viene utilizzata quotidianamente - apriremo tra un po' di tempo un capitolo a parte tra l'Arte con la A maiuscola e l'Eterna Seconda - e relegarla ad un rango ancora più basso, diciamocelo, faceva brutto.

Ma durante l'evoluzione di quest'Arte, a partire dalla storia che ci racconta Plinio e dell'incidente sulla spiaggia, alle rotte del Mediterraneo, passando per grecità e romanità, arrivando a guardare estasiati la produzione medio orientale e  applaudendo al cristallo di Boemia, arriviamo ai giorni nostri dove tecnologia, tecnica e scienza continuano a contribuire all'evoluzione di un materiale tanto antico. E per dirla tutta, il vetro ha ancora sicuramente infinite strade da mostrarci.

Ma tra le scoperte geniali, certamente, credo che il punto di massima risonanza lo abbia raggiunto un certo Barovier Angelo che ha dedicato sangue, sudore e soldi alla creazione di un qualcosa che amiamo tutti ancora adesso. I soldi erano della Serenissima, ma il resto tutta farina del suo sacco. Un genio.

"Che il Quattrocento fosse stato il secolo della grande ribalta di Venezia nella produzione del vetro era già noto; che la grande invenzione di Angelo Barovier, quel vetro lucente e trasparente che poteva essere trasformato in oggetti tanto leggeri da sembrare inconsistenti, fosse stata la più inaspettata delle fortune della Serenissima era più che ragionevolmente prevedibile. La grande invenzione, il salto di stile e qualità nella manifattura che spinse il nome degli artigiani muranesi al di là dei semplici produttori di utensili in vetro, trasportandoli in una dimensione estetica e artistica che era propria delle grandi arti. Nella seconda metà del XV secolo, quindi, il mastro vetraio Barovier ottenne per concessione dalla Repubblica il consenso per portare a compimento studi e ricerche che permettessero la realizzazione di un materiale simile nella trasparenza al cristallo di Rocca, ma che fosse di più facile e versatile lavorazione. Questo vetro sodico permise la creazione di oggetti di grande pregio stilistico, osando spessori mai raggiunti prima, facile da formare e decorare. Il lungo e ostico processo di scelta, purificazione e fusione delle materie prime assicurava un risultato impeccabile e adatto a lunghe e complesse lavorazioni e decorazioni. Il Rinascimento muranese si apre così già carico di aspettative e potenzialità. L’intenzione era quella di esaltare la materia, intrappolare la luce, e per questo distruggere la stereometria dell’oggetto, cercando di portarlo a sole due dimensioni, come se fosse stato ritagliato da un segmento più ampio. La fragile e solida eleganza del vetro cristallino spinge gli artisti a sperimentare nuove tecniche decorative come la filigrana a retortoli o a reticello, l’incisione a punta di diamante e il vetro a ghiaccio. Quella che era stata un arte minore produttrice di “cose utili” si trasforma, in meno di un secolo, in una fucina di arte ed eleganza, sensibile ai cambiamenti stilistici delle sorelle maggiori ed incline ad assecondare i dettami estetici che stavano via via impadronendosi della cultura di un design ante litteram."

Questa è stata la mia personalissima dichiarazione d'amore per un qualcosa che credo sia stata la bussola che mi ha guidato fino a scegliere quel che ho scelto, alla fine, come mestiere. 

Oggi siamo portati a percepire il vetro come trasparente, incolore, quasi a zero impatto visivo. Ma la capacità di dare forma e vita a un materiale tanto versatile e che si concede con gioia alle mani di un maestro sapiente, dal punto di vista delle possibilità, è certamente una grande sfida.

Realizzare un vetro, tecnicamente, è un'operazione complessa e delicata, di estrema precisione e scienza. Non trattando qui il come si prepara una miscela per una base vetrosa, ci concentreremo solo sui colori, dando per scontato che tutti siamo dei bravissimi mastri vetrai di Murano che operano con un occhio chiuso, con una mano dietro la schiena, saltellando su una gamba.

Tornando seri.

Dal punto di vista tecnico-scientifico il vetro può essere colorato sia per la presenza di impurità nella massa vetrosa, oppure per l’impiego consapevole di tre procedimenti distinti, studiati proprio per donare una specifica colorazione al vetro. Il primo riguarda l’aggiunta di ossidi metallici fusi e diluiti nella massa vitrea, per conferire un colore omogeneo. Il secondo prevede invece l’uso di alcune sostante allo stato colloidale, come per esempio l’oro colloidale che viene utilizzato per ottenere il vetro rosso-rubino. Infine l’uso di particelle di materiali coloranti disperse nella massa fusa, come avviene per l’avventurina. Un discorso differente va fatto per i vetri “incamiciati” o “ricoperti”, dove la colorazione caratteristica deriva dall’interazione del vetro sottostante con uno o più strati di vetri differenti. È possibile però anche colorare il vetro senza che il pigmento interferisca con la materia in modo profondo e irreversibile, si tratta di procedimenti basati su tecniche che utilizzano l’argento per l’adesione del colore al substrato vitreo. Di questa tipologia sono stati rinvenuti molti vetri islamici, anche se concretamente le tecniche esecutive non sono mai state recuperate. Un'altra tecnica, più inusuale ma altrettanto efficace, prevedeva l’immissione tra due strati di vetro trasparente di un terzo, composto da sostanze che a contatto con le elevate temperature potessero generare colorazioni diverse, questa è la colorazione a caldo senza fusione, molto diversa sia nelle metodiche che nei risultati da quella a freddo, applicata invece con lacche e olii su vetri e porcellane. Tornando all’utilizzo degli ossidi metallici disciolti nel fuso, è doveroso specificare che i risultati ottenuti variavano notevolmente in base sia alla purezza delle materie prime, ma anche rispetto alla temperatura raggiunta nel forno di fusione che dall’atmosfera, riducente o ossidante, presente nella camera stessa. E’ possibile impartire ai vetri un colore particolare aggiungendo costituenti secondari, come ossidi metallici e di ossidi di metalli di transizione, che raramente superano il 10% della massa totale e spesso sono presenti in concentrazioni minori del 5%. Per ottenere vetri opachi, invece, è necessario unire ai reagenti una sostanza immiscibile, come il fluoruro di calcio (CaF2) che si disperderà finemente all’interno della materia, diffondendo la luce ed impedendone la sua trasmissione attraverso il vetro.

Sì, lo so, un po' tecnico, ma vi avevo avvisati che ci avevo studiato per la tesi!

Concludendo, quindi, la leggenda narra che il vetro fu generato dal Caso, ma certamente attraverso i secoli è diventato il figlio prediletto di un padre amorevole e sagace, capace di incoraggiare e declinare all'infinito le attitudini di un materiale tanto anonimo quanto ricco di  storie ancora da raccontare.
Un materiale che ci accompagna nel quotidiano, che è stato riscoperto nella nuova svolta ecologista del nostro tempo e che si reinventa ogni giorno. 

Una tradizione che muta e si consolida ogni giorno, come tutte le tradizioni degne di essere tramandate.


Avviso per i più audaci. Continua a leggere solo se ti senti pronto!

Per chiudere con meraviglia e forse qualche accenno di sopracciglia alzate, ho una ricompensa per lo sforzo di aver superato lo scoglio dei tecnicismi sui colori!

Un dulcis in fundo ancora più arzigogolato ma un po' più divertente: una "descrizione tipo" di due manufatti, i calici in foto. 

Si ringrazia il Dizionario del Vetro per i tecnicismi.
Nel caso in cui un giorno dovreste trovarvi nella situazione di dover descrivere un calice rinascimentale.

A sinistra, calice con coppa a campana, decorata a filigrana, con costolonature a rilievo. Poggia su un gambo a collarino decorato con cordoncini tortili e punzonati, scendendo verso il basso assume la forma di balaustro rovesciato, con una strozzatura e costolonature. Il piede è cavo con la decorazione che riprende quella della coppa. 

A destra, calice con coppa di forma tradizionale, decorato a filigrana, poggia su un nodo a balaustro rovesciato, che continua sullo stelo dritto e sagomato al modo di una colonna ionica, sul quale è applicato un animale fantastico in vetro ambrato. Il piede è cavo e conico, con la decorazione che richiama quella della coppa.




Adesso convincetemi che non sia meraviglioso anche solo parlarne.

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