Un mosaico riciclato.

Quello che sono diventata e che sto diventando.



La prima volta che ho scritto qualcosa e che poi è stato letto da altri è stato a sedici anni ed era in occasione di una premiazione. Categoria speciale in un concorso letterario che ogni anno organizzava il mio liceo, con tanto di targhe, premi e medaglie.
L'imbarazzo è stato, credo, il sentimento più forte durante tutto quel caldo pomeriggio. 
Eravamo in una piccola sala al primo piano della libreria Guida - una delle più vecchie e famose di Napoli, sicuramente quella con più storia: l'hanno chiusa, ma sul risentimento che provo riguardo questa vicenda è meglio non parlare! - e ogni brano di prosa e poesia vincitore per la sezione veniva presentato e letto da quel ristretto gruppo di adolescenti che ancora non aveva subito strane trasformazioni vocali.

A ripensarci, l'ho riletto qualche tempo fa, mi era capitato tra le mani rimettendo in ordine la libreria di casa. Rileggerlo adesso mi ha fatto rabbrividire, ma in fin dei conti è esattamente il frutto di una mano di ragazzina. Santi numi.
Questo per dire che è sempre difficile esporre una propria creazione all'occhio, all'orecchio e quindi anche al giudizio altrui.
Quel pomeriggio imparai una lezione importante: è necessario vincere la paura del giudizio se hai fede in quello che hai creato.
Ovviamente lezione appresa e dimenticata nel giro di poco più di tre settimane.

Sono passati circa dodici anni da quel giorno di maggio ed è solo adesso, da poco, ho forse ritrovato un briciolo di fiducia. 
Ho il problema che molti definirebbero mania di controllo e perfezionismo, detesto mostrare qualcosa che so avere dei difetti. Perché quello che si crea non è altro che un'estensione di ciò che si è, e viene da sé che una creazione difettosa è frutto di una mente o di una tecnica difettosa.
Ecco. Il nocciolo della questione.
Ero io o la mia tecnica ad essere incompleta?
Il primo pensiero è sempre rivolto alla propria persona. Poi un giorno cresci, incontri persone straordinarie e capisci.
Per tutta la vita, fino ad un giorno meraviglioso, passi le ore a creare, studiare, immaginare e niente esce mai dalla tua testa o dalla tua stanza. Mille progetti, romanzi mai scritti, dipinti ai quali mancava sempre l'ultima pennellata, l'ultima ombreggiatura. 

Anni di incompiuti.

La compiutezza è stato il mio buono proposito del 2020. Abbiamo visto tutti come è andata a finire. Ma dovrò essere sincera, il tempo passato forzatamente a casa e le giornate tra quattro mura con solo il peloso a tenermi compagnia mi hanno portata a concludere i miei incompiuti.
Alla fine non ero io, ma i pochi anni che avevo.
E adesso ballo, disegno, suono, leggo e sono anche riuscita a dirlo a qualcuno!
Bene.
Tutto questo sproloquio introspettivo per dire che questo luogo intangibile che è ART-IN-FACT è proprio un altro dei tasselli di quel mosaico riciclato che sono io.
Tutte le tessere provengono da un altro luogo e ognuna racconta una propria storia, tutte insieme raccontano la mia.


Attenzione a mantenere gli interstizi.


Per inciso, mi avevano suggerito di scrivere un primo pezzo che fosse di presentazione riguardo la decisione di creare ART-IN-FACT e che parlasse di me, di cosa faccio e cosa piace e che spiegasse come mai avevo deciso di cominciare a scrivere un blog. Ovviamente, da buon Aquario l'ho fatto ma in maniera totalmente atipica. Quindi un paio di dritte per riassumere: sono una restauratrice e la cosa più bella del mio lavoro è cogliere l'infinità di possibili storie che ci sono dietro un oggetto. 
Sia chiaro, lo faccio con tutto quello che mi appassiona. 



Guardare è un'arte e un fatto. Infatti.


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