#APPUNTI - L’arte di quelli che balbettano.

I barbari e le arti minori.


Il mio secondo anno di università aveva in programma un esame che mi ha portato sull’orlo della pazzia: Storia dell’Arte Medievale.

Un programma vastissimo e delle conoscenze minime di accesso che davvero avrebbero fatto impallidire qualsiasi manuale. Una bibliografia sterminata e, come al solito, troppo poco tempo per approfondire tutto. 

Per un arco temporale che va dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente fino al Rinascimento, immaginate solo la quantità di cose da sapere e ricordare. Ovviamente di tutto quel sapere ho memoria di solo alcuni aspetti che, per affinità sentimentali, feci miei all’istante. 

Tesoro di Desana. 
Sono un’amante del mondo greco, delle popolazioni e culture nordiche e delle forme espressive meno diffuse al mondo. Mi piace leggere le similitudini tra gli oggetti, i rimandi e gli echi culturali, le contaminazioni e le tradizioni antiche come la terra. Ho letto centinaia di pagine sulle più strane storie di iconologia e iconografia è ancora oggi mi stupisco di molte delle cose che vedo.

Il piacere della scoperta!

Tornando a noi. Lasciando per un momento stare le grandi arti ufficiali, le grandi architetture e la pittura e la scultura monumentale, quella imperiale per intenderci, vorrei soffermarmi sulla grande meraviglia delle creazioni legate alle arti minori in quelle zone d’Europa che ospitavano un caleidoscopio di clan e popolazioni nomadi e che per tutta la storia verranno ricordati come barbari.

Un po’ xenofobo, come atteggiamento, ma ormai siamo in ballo e balliamo.

Barbari perché balbettavano, perché non conoscevano il greco e la pronuncia dell’antica lingua ufficiale dei templi e dei regni confinanti, dei grandi eventi e delle corti.

Barbari perché non riuscivano a comunicare in maniera lineare, fluente e i suoni che producevano assomigliavano a un continuo e incessante balbettio. Con quanta superiorità sono stati sempre guardati questi popoli, senza che nessuno si occupasse effettivamente dell’arte che portavano con sé spostandosi da un luogo all’altro di Europa. 

Era la rivelazione dell'arte dei popoli nomadi che percorsero le pianure dell'Europa orientale e dell'Asia. Quell'arte fece sentire la sua influenza anche in Cina, in Persia e in Occidente. 

Fibule in oro, con pietre, smalti e vetri cinseriti a cloisonnè.
Sarà che io sono fissata con piccoli oggetti iper-decorati, con i simboli, con l’iconografia, con una serie di infiniti intrecci, nodi, e le storie e le Rune - e chi più ne ha più ne metta-, ma trovo davvero impressionante la capacità di rendere anche un oggetto piccolo come una fibula una vera e propria opera d’arte, non solo nella tecnica esecutiva ma anche e  soprattutto per i materiali impiegati e la raffinatezza con la quale li facevano coesistere.

Orafi indiscussi e inventori di complicatissimi disegni e intrecci geometrici, avevano la tendenza a frammentare la superficie dell'immagine e ad occupare tutto lo spazio possibile. Questa sensazione di horror vacui li ha spinti non solo a rendere questo stile  ornamentale un segno distintivo, ma alla fine delle invasioni, ma ha influenzato drasticamente anche tutta la produzione sacra di quel tempo.

Grandi orafi, quindi, svilupparono fino a raggiungere livelli altissimi tecniche quali l'agemina, il cloisonné, l'uso degli alveoli per l'incastonatura di vetri colorati e pietre preziose, la filigrana e l'incisione a bulino. Se non è tutto oro quello che luccica, allora saranno sicuramente la vasta gamma di gemme, pietre, perle e vetri che utilizzarono per dare vita alle immagini delle loro opere.

Aquila, corredo funerario rinvenuto a Domagnano (Repubblica di San Marino).

Lontano dal naturalismo o dalla verosimiglianza, le figure erano rappresentate in modo stilizzato, utilizzate per il loro valore simbolico più che per la loro veridicità. Le due tecniche, quella dell'incisione e quella dell'incastonatura per alveoli, si trovano spesso riunite nello stesso manufatto. L'arte barbarica, questa altra arte, regna dal V al IX secolo nei paesi occupati dai barbari, dalla Scandinavia all'Africa vandala, dalla Gallia all'Asia centrale, a volte così esuberante, così frammentata e ricca, dalle linee complesse e sovrapposte, che fa pensare all'arte araba (immaginate solo la peculiarità degli oggetti arabi, delle decorazioni delle vesti o anche solo di una spada araba…). Intrecci capricciosi, sotto forma di semplici trecce o di nodi chiusi, ricoprono la superficie degli oggetti e terminano talvolta con teste di serpente riportando così al significato primitivo questo ornamento: serpenti allacciati - qui Tolkien ci torna in aiuto, ancora, pensate all'anello di Barahir che indossa Aragorn! 

Fibbia di Aregunda, arte merovingia, 570 circa, Museo di Antichità, Saint-Germain-en-Laye. Ph Marie-Lan Nguyen.

Corona ferrea.

La maggior parte dei motivi decorativi riproducono anche forme vegetali o animali più o meno deformate e assoggettate allo schema geometrico. I motivi zoomorfi sono i preferiti da questi artigiani: uccelli rapaci dal becco adunco, leoni, felini di ogni specie, cervi, capre, api, e qualsiasi altro animale avesse potuto simbolicamente assumere un certo significato, che bestiario scansati! Pur nella stilizzazione sistematica se ne distinguono le diverse forme essenziali. La figura umana appare raramente, è sempre disegnata in una maniera infantile senza alcuna cura della verità e delle proporzioni, come se da sola l'immagine di una persona non fosse Cosmicamente rilevante - ovviamente non si sono ancora convertiti al Cristianesimo. Nulla è più contrario all'ideale di verità, di semplicità, d'eleganza sobria dell'arte greco-romana, e tuttavia l'arte dei barbari del V secolo non appare interamente slegata e in opposizione alle tradizioni artistiche delle provincie in cui si diffuse. 

In Gallia e in Italia soprattutto si osservano molti motivi d'ornamentazione classica, perfino la figura umana e l'iconografia religiosa dell'arte cristiana su oggetti barbarici, sebbene tutto sia quasi irriconoscibile, deformato sistematicamente secondo i principî dell'ornamentazione di impostazione geometricaI barbari di tutti i paesi imitarono volentieri le monete romane, reinventandole in medaglioni monetiformi provvisti spesso d'un gancio e composti di lamina d'oro stampata più o meno grossolanamente sulla falsariga delle monete imperiali. Molte bratteate recano iscrizioni in caratteri runici.

Anello con sigillo di Trezzo d'Adda, VIII secolo, Milano.

Vorrei fare una parentesi, anche se un po' lunga. Anzi in realtà è brevissima ma rende l'idea del mio amore incondizionato per questo tipo di arte: ho svariati tatuaggi e due di questi sono rappresentativi proprio di questo spirito. Il primo è il Nodo degli Amanti, il secondo un portafortuna in forma di sigillo medievale (di quelli usati dalle "streghe") composto interamente da  rune.

Ma continuiamo.

Molto significative sono altre contaminazioni e trasferimenti di immagini e stili fra l'arte barbarica e le tradizioni più classiche, almeno dal nostro punto di vista. I barbari che si stabilirono in Gallia e in Gran Bretagna scoprirono che lì era ancora viva un'arte autoctona che risaliva addirittura ai tempi preistorici e, nonostante la massiccia imposizione dell'arte importata dai Romani, non scomparve mai del tutto. Per farla breve se pensate a tutta la questione di Re Artù, la magia, i Druidi e i troll (guardate Trollhunters di Del Toro è su Netflix!) e anche Ribelle:The Brave e a tutta la produzione contemporanea sui miti del Nord Europa, tutto quello che vedete, visivamente proprio, deriva da questo!

L'elmo di Agris (ca. 350 a.C.), capolavoro dell'arte celtica di influsso celto-italico.

Sembra che all'epoca delle invasioni, mentre scompariva la tradizione classica, quell'arte millenaria abbia avuto una rifioritura - strano a dirsi ma è la rinascita della fenice, credo - che si spiega con la continua presenza, anche se modificata quasi fino alla trasfigurazione,  della sua ornamentazione più famosa, fatta di motivi geometrici, unita con la decorazione di oggetti barbarici. Nei paesi scandinavi, dove le importazioni romane erano state deboli, si osserva un legame diretto fra quell'arte preistorica e l'arte del periodo delle invasioni - ripartiamo da tutto il filone nordico e dalla sua mitologia: tre, due, uno...

Riproduzioni di artigianato celtico.

Bisogna notare, infine,  i rapporti stretti fra l'arte barbarica ornamentale e quella dell'Oriente, che aveva resistito all'azione dell'ellenismo (Alessandro Magno, e che hai combinato!) soprattutto nelle provincie continentali, nella vallata del Nilo, nella Siria centrale, nella pianura dell'Anatolia, nella Mesopotamia. Come quella barbarica, l'impianto ornamentale che si sviluppò ad Est deformava la realtà, stilizzava le piante, gli animali e anche l'uomo secondo una norma geometrica. Sembra quasi l'annosa questione della strana e improbabile somiglianza tra le piramidi in Egitto e quelle in Messico.

Ma tornando ai barbari, quelli generalmente definiti così, furono essi stessi propagatori della loro arte e del loro personalissimo modo di esprimere la vita che li circondava, com'è provato dagli oggetti di ornamento personale ritrovati nelle loro tombe o dalle opere di oreficeria religiosa eseguite per volere dei loro capi - a proposito ecco la coperta dell'Evangelario di Teodolinda

Evangelario di Teodolinda, immagini di Piero Pozzi.

Barbari, quindi non solo i Longobardi che vennero e si stabilirono nelle nostre terre, ma anche barbari che preferirono altri luoghi dove insediarsi, altre culture da abbracciare e mescolare con la propria. 

Barbarica è l'arte del Sacro Romano Impero, di Carlo Magno e successivamente degli Ottoni.

L'arte al servizio dell'Impero, che nasce dalla compenetrazione, della fascinazione e dell'arguzia tra il mondo classico e popolazioni ormai non tanto nomadi. 

Qui mi fermo, che sui barbari nostrani ne hanno già bel parlato altrove e non ho ancora nulla di tatuato che li riguardi. Per ora.

Voi recuperate i riferimenti.







Commenti