#INTERVISTE Cercando #ZERONERO

 Tutti i supereroi indossano una maschera, e forse quello che li contraddistingue dalle altre persone è la capacità di usare la propria maschera come simbolo della propria essenza vitale, del proprio scopo. 

E come si fa con i grandi supereroi, ho fatto voto di silenzio sull’identità del mio soggetto e non verrà in altro luogo menzionata la sua persona se non con il nome che ha scelto per sé: #ZERONERO.


Ho trovato il mio Batman.


Headache. Fluoxetina: in the blaze of ambiguous heavens, #zeronero, 2020



Love, ovvero un disco rotto, #zeronero, 2020



Se lui, Batman dico, avesse avuto una maschera da coccodrillo (ma a me, giuro, pare un coyote!) mi avrebbe risposto che la sua maschera era un modo per sentirsi libero, per poter sperimentare ed esprimersi senza vincoli, in particolare con le persone “altre”. 

Una libertà di espressione tale da poter creare quel che si voleva senza alcun tipo di stigma sociale alle caviglie.


E poi il personaggio pubblico, il social media e la sfida. L’ho incontrato che aveva iniziato una sorta di Challenge con se stesso, dove si è obbligato a produrre un’opera ogni ventiquattr’ore. Follia.

È una sfida con me stesso, per sconfiggere la mia atavica pigrizia, un esercizio che faccio con me stesso per obbligarmi a fare sempre. Che poi alla fine non è pigrizia, ma la paura di esporsi. Non a caso a quest’età mi so fatto Instagram con la maschera in faccia.

Quando gli ho chiesto come mai avesse questa paura, visto e considerato che lo reputo una persona più che capace...

Paura, boh. Non boh, questa sarebbe stata la risposta di due anni fa. Ho paura, e non è la volontà di non associare il mio volto a quello che faccio, ma proprio la paura di dire che sono stato io, che l’artefice dietro sono io. E le persone sono anche l’ultima cosa. Sono io il peggior giudice di me stesso.

Ma quindi ti sei sdoppiato?

No, assolutamente. Non mi sento sdoppiato. È me, lui sono io. Io sono lui. Dal primo momento che l’ho pensato mi è calzato addosso come un abito di sartoria, questo è. Io credo di essere più me con lui che quando sono senza.


Quindi mi guardò intorno e vedo che la casa è piena della sua mano. Alcune cose sono vecchissime, di almeno dieci anni.


Non è facile andare in giro portandosi la propria identità con sé, invece con la maschera diventa semplice. E io ci gioco tantissimo. Puoi meravigliarti di te stesso e questa cosa mi rende molto euforico. Anche se poi è importante riuscire ad equilibrare i picchi di euforia, che inevitabilmente portano a picchi altrettanto estremi di depressione, quasi. 


La stabilità. Santa cosa. Ma chi si ferma è perduto, quindi.


Breaker of chains. Indissolubilmente, #zeronero, 2020



Chi si ferma è morto, quindi anche da qui la questione delle ventiquattr’ore. Avere una deadline mi stimola a fare e fare nei tempi. Adesso, senza Instagram non mi sarebbe venuta ‘sta spinta, e invece... i risvolti positivi di questa società corrotta.


Ma quindi si seguono i tempi di IG?

Avere un tempo, ma non sforzarsi. Il gioco è tuo e le regole sono tue, quindi. 

Deve essere una cosa spontanea, ma stimolandoti sempre. E poi è la necessità di dover rimanere a contatto con la cosa, una questione di esercizio e pratica, come la bicicletta.

Fare, fare è continuare a fare...

Ho la possibilità di fare quello che voglio, mi sento libero e infinitamente potente.

Mi stupisco che mi stia andando anche bene. Ho intenzione di fare sempre di più e ho capito che io ho bisogno di fare, ma fare davvero e per me. Ho passato anni a non fare, anche se non sembrava. E ho vegetato, sono stato fermo e tutto è diventato opaco. Se non faccio, io svanisco, non ci sono più e questo non è giusto per me. Io sono così, vivo così e mi esprimo così. Altrimenti se non è così, preferisco il mutismo.

Ma come al solito solo tele, mi era sembrato di vedere molto digitale!

Con il digitale. Mi si è aperto un mondo infinito di possibilità. Mi sto sfiziando.


War-delivery, #zeronero, 2020



Adesso una cosa devi dirmela: ma ‘sto nome da dove diamine ti è uscito?

Era una sorta di cantilena che mi cantavo, una preghiera che mi ripetevo da giorni. L’abolizione di tutto quello che non è colore, il rifiuto del nero: Zeronero. Un monito, tipo memento mori, una cosa che ti ricorda che devi fare, sempre, e che non ti è concesso altrimenti per non morire. Mentre lavoro capita che mi ripeto qualcosa come un mantra, ma senza capirlo veramente e alla fine il nome è proprio questo, me lo ripetevo da una vita e alla fine eccolo qui. Ho trovato così anche il titolo di un’opera che feci, e per dirla tutta sono quasi più fiero del titolo che di quello che ho fatto!

E il suo volto? Lo sai, no, che a me sembra un coyote?

Il personaggio invece alla fine sono tre linee, una cosa semplice, facile, proprio perché già tutto il resto è complicato. Sono tre colori e due linee, tutto qui, ma è incisivo, mi piace. Funziona ed è esattamente come dovrebbe essere. Essenziale.


Abbiamo parlato di come approcciare coi social, anche se a più riprese mi ha ribadito che NO RITA SENZA MARCHETTATE.


Per inciso sono qui con la registrazione alla mano e vorrei inserire di tutto. Il grande dono della sintesi mi abbandona sempre quando ho a che fare con conversazioni tanto spontanee, belle, interessanti. Quando le chiacchiere con gli amici diventano le chiacchiere su se stessi e sul mondo, su come ci vediamo e su come gli altri vedono noi. 

Come al solito parlare è il modo che preferisco per aver a che fare con gli altri. Perché non è solo la parola, ma tutto il contorno. Come ci si siede, come si fuma, come si beve il caffè e come ci si guarda, come si ride ricordando qualcosa o il senso di empatia che si genere scoprendo che esiste un vissuto comune a tutti, e che prima o poi passiamo tutti per una serie di tornelli che ci cambiano e ci fanno crescere, per fortuna.


È facile affezionarsi ai ricordi. Tieni solo il buono, quello che ti sembrava bello e oblii tutto il resto. Troppo facile. E il filtro del tempo che ti frega. 


E quindi nessuno sa chi sei...

Comunque alla fine nonostante la maschera, chi mi conosce sa esattamente perché ho fatto o non fatto qualcosa con Zeronero. Loro lo sanno, ma perché l’arte è quella cosa che rende evidente anche quello che vorresti nascondere e diventa un casino. 

Ti sei mai ritrovato a dirti di non saper fare qualcosa?

Non credo in quelle cose del tipo non saperlo fare. Se hai da dire qualcosa, il modo lo trovi e quindi lá non è nemmeno così stringente la tecnica ma quello che dici. E l’arte, purtroppo, non sa mentire.

Come, quando hai cominciato?

Ma da sempre, sono sempre stato attratto dall’arte, dai colori, come tutti. Poi ci sono cresciuto in una casa d’artista. Solo che non mi hanno mai insegnato davvero, ero piccolo e rubavo. Osservavo e replicavo i modi in cui vedevo fare le cose, poi lascia stare, può esistere come non il talento naturale, ma poi al liceo mi sono sentito un grande artista... ovviamente il livello era quello che era. Ora ci sono cose che mi fanno cadere gli occhi per quanto sono belle e a volte mi chiedo se effettivamente io sia tanto capace quanto credo. Di punto in bianco abbandono il pensiero, forse nemmeno mi interessa. 

Pensa che non Zeronero ho cominciato nel 2018 mentre facevo servizio di guardiania ad una mostra e da lì non mi ha mai abbandonato. Solo che ci ho messo un bel po’ prima di capire che potevo addirittura mostrarlo a qualcuno e provare a viverci con questo.

Io lo sapevo che eri bravo, ma tu?

Ci vuole coraggio per accettare di essere bravi. È più facile nascondersi dietro la scusa della scarsa tecnica, del vorrei, del magari. L’atteggiamento che abbiamo ad autosabotarci ci spinge a non fare mai per paura di essere giudicati, ma basta.


Ho fatto una conversazione simile qualche giorno fa, con una mia amica e lei lo chiama predatore della coscienza. Ma questa è una storia diversa e forse ne parlerò di nuovo, più in là. Zeronero mi ha fatto capire che se non si fa qualcosa è perché non è ancora il momento e che in un modo o nell’altro uscirà comunque.


Blue Trust, #zeronero, 2021



L’arte salva, ma anche le persone ti salvano. Ad un certo punto impari a tenere lontane le persona tossiche e quando cominci a capire chi tenere vicino, ti accorgi dell’enorme potere che anche la  loro silenziosa presenza riesce a diffondere e irradiare tutt’intorno a te. 


E l’arte parla d’amore, parla di legami e racconta storie. E che sia in digitale che abbia un volto o le zanne e gli occhi gialli, racconta storie che conosciamo tutti ma che assumono infinite sfumature diverse secondo quali siano gli occhi che le guardano. 


Comunque, alla fine della fiera, come al solito sono una brutta persona e uso persone geniali e menti straordinarie per sentirmi forse un po’ meno sola e più compresa, perché non c’è niente che mi consoli di più nel capire che quello che vedo negli altri lo vedono anche loro in me. 


Il signorino Zeronero è diventato il mio supereroe mascherato, perché mi ha portato a vedere quello che fa e come lo fa, ma soprattutto perché. 


Voi andatevelo a guardare, e tenete a mente quello che vi ho raccontato.

Aveva un po’ d’ansia di parlare così di sé, o di lui, di entrambi in realtà e vinte le resistenze quello che emerge è un ragazzo capace, dalla mente arguta e deliziosamente acuta. Qualcuno che ha scelto di essere se stesso e di mostrarsi per come si vede, che vuole giocare con chi lo guarda e con se stesso, con le tecniche, i soggetti e le storie.

Qualcuno che ha molto da dire e che è disposto a farlo senza mentire.


Antologia posillipina, #zeronero, 2020

My fair Nina, #zeronero, 2021



Lui lo fa per se stesso, ma in realtà lo fa per tutti, lo fa per me. Perché oltre ad apprezzarne la qualità ho potuto rivedere un paio delle mie storie e sentire qualcuna delle mie parole.


Ma noi siamo amici, forse è questo. O forse non dipende da niente di tutto questo.


Per farla breve e chiudere, che altrimenti apriamo la seduta di psicoterapia, ho la sensazione che mai come in questa sera la vita sia universalmente simile in tutti, che le sensazioni e le emozioni siano condivise a livello biologico. Cambiano solo gli stimoli.


Autoprescrivetevi una guardata d’arte. 

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